autoriEly Gocce di Rugiada

Intervista a Daniela Di Benedetto, autrice del romanzo “L’ultimo degli Altavilla”, il libro che ha ispirato il premiato film L’Erede.

foto recensioni letterarie.it daniela di benedetto

Perché  hai scelto  la  Sicilia degli  anni  60/90,  tra  civiltà  rurale  e  abusivismo  edilizio,  come  sfondo  della  storia?

Lunga  faccenda.  Sono  cresciuta  negli  anni  70  nutrendomi di tutti  i  film western  trasmessi  dalla  Rai  e  a  19  anni  avevo scritto  una  bozza  di  romanzo  in  cui  al  posto  di  Antonio  c’era  un  allevatore  del  Texas  che non  voleva  vendere  la  sua  terra  ai  magnati  del  petrolio. Ma  per  pubblicare  un  libro  in  Italia  deve  essere  ambientato  in  Italia!  Negli  anni  Novanta  mi  venne  l’idea  di  recuperare  quel  plot  in  base  alla  realtà  che  stavo  vivendo  e  vedendo: le  terre  dei  contadini  in  Sicilia venivano  vendute e  adibite a costruzioni  di  villini.  Così  iniziai  a  scrivere  la  seconda  stesura e  ne  mancavano  ancora  quattro  per  giungere  alla  forma  definitiva.

Antonio  è un  personaggio  complesso tormentato  da  un  amore  impossibile  e  da  segreti  inconfessabili.  Come  hai  costruito  questa  profondità  psicologica?

Questi  dettagli  erano  presenti  nella  mia  storia  fin  dall’inizio  perché  ero  una  ragazza  che  studiava  Freud.  Amavo  la psicanalisi  ma  ero  anche  molto  influenzata dalla  letteratura  americana,  di  cui  avevo  letto  praticamente  tutto:  Steinbeck, Tennesse  Williams,  Eugene  O’Neill  e  simili,  per  giungere  al  più  moderno  Irwin  Shaw .

Che  ruolo  ha il  legame  di  Antonio con  la  sua  terra  e  cosa  rappresenta  per  lui?

Antonio  è  un  vero  contadino  come  suo  padre  mentre  suo  fratello  Alfredo  è  un  intellettuale come  la  madre. Se  Antonio  si  sente  affine  al  padre  e  lo  imita  fedelmente,  il  legame  con  la  terra  è  genetico, la  terra  è  lo  scopo  della  sua  vita.  Ma  rappresenta  anche il  legame  con  il  passato.   Infatti  Antonio  è  un  personaggio  che  resta  immutato  mentre  gli  altri  intorno  a  lui  si  evolvono.

Le  persone  a  lui  più  care  cercano  di strappargli  il  suo  ultimo  sogno.  Cosa  volevi  mettere  in  luce  con  questa  dinamica?

Si  evidenzia  che  il  progresso  conduce  quasi  sempre  a  una  perdita  di  valori.  Già Alfredo,  che  non  vuole  coltivare  la  terra  del  padre  ma  vuole  diventare  avvocato,  rappresenta  una  nuova  generazione.  Ma  suo  figlio  Fabio,  che  addirittura  vuole  vendere  la  terra  e  spendere  i  soldi  in  divertimenti,  rappresenta  il  peggio  della gioventù  di  oggi.  Più  andiamo  avanti  e  più  perdiamo  ciò  che  era  sacro  per  i  nostri  avi.

Come  dobbiamo  interpretare  l’ambiguo  personaggio  di  Eva,  moglie  di  Antonio?

Come  disse  Zola,  a  un  certo  punto  la  storia  si  fa  da  sé  perché  i  personaggi  devono  seguire  le  loro  inclinazioni  ma  reagiscono  anche  agli  eventi  secondo  la  logica  di  causa-effetto  e  l’autore  non  può  far  commettere  loro  gesti  incoerenti.  Eva  appariva,  nella  mia  prima  stesura,  come  una  dark  lady  ambiziosa.  Ma  col  passare del  tempo mi  è  sembrata  vittima delle  manipolazioni  del  nipote.  Allora  per  mettere  in  rilievo  i  suoi sentimenti  contradditori ho  scelto  la  forma  di  diario,  adottata  anche  per  Antonio  nella  sesta  e   ultima  stesura  del  libro.  Dopo  tanto travaglio  per  raggiungere  la  perfezione  stilistica,  finalmente mi  sono  resa  conto  che  la  narrazione  in  terza  persona  non  rendeva  bene  i  pensieri dei personaggi.

Come  ti  sei  sentita  quando  hai  saputo  che  il  cortometraggio  L’EREDE  era  tra  i  dieci  vincitori  del  Premio  della  Critica Internazionale  al  festival  del  cinema  di  Cefalù?

Di  certo  è  stata  una  bella  soddisfazione  ma  ho  provato  anche  un  pizzico  di  rabbia  perché  un  corto,  per  essere  ammesso  a  un  festival,  non  deve  superare  i  15  minuti.  E  in  un  quarto  d’ora  non  si  possono  mettere  a  nudo  tutte  le  sfumature  dei  sentimenti:  pensavo  a  ciò  che  il  pubblico  ha  perso.  Il  mio  sogno  era,  e  resta  sempre,  la  realizzazione  del  lungometraggio  di  due  ore.  La  sceneggiatura  è  pronta,  cercasi  produttore  interessato.

Cosa  speri  che  il  pubblico  colga  dalla  storia  di  Antonio  e  dai  suoi  tormenti?

Per  me  è  stata  una  prova  letteraria  importante  e  vorrei  che  la  gente  capisse  che  anche  una  scrittrice donna  può  mettersi  nei  panni  di  un  uomo.  Un  uomo  che  è,  una  volta  tanto,  vittima.  Vittima  degli  altri  ma  anche  di  se  stesso  e  delle  proprie  illusioni.

 

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La recensione

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